LA LEGGENDA DI ALERAMO
LA MIA SPADA AL RE, L’ANIMA A DIO, L’ONORE A ME !
Il Monferrato da sempre Marca di Frontiera e di sanguinose battaglie, terra di scintillante sole e di nebbie impenetrabili, dove ogni collina porta un castello o una torre minacciosa, è la dimora antica di Aleramo il Sassone, le cui gesta si sono fatta strada fino a noi attraverso secoli di barbarie e di tenzoni cavalleresche.
Si vuole che Aleramo sia nato all’ombra della grande abbazia di Santa Giustina, fondata nel 740 da Re Liutprando signore dei Longobardi, che si trovava, e si trova tuttora, a nord di Acqui in località Sezzadio (Sezzè al tempo).
Suo padre, proveniente dalle nordiche terre di Sassonia, scese nell’anno 904 nelle terre italiche per un pellegrinaggio a Roma con la propria sposa, sciogliendo così un voto essendosi manifestate in lei i segni della maternità. Giunti che furono presso Sezzè, la donna, colta dalle doglie del parto, ebbe accoglienza presso i signori del luogo, i quali vollero dare al neonato il nome di Aleramo, che significa «allegrezza». Ripartiti per Roma, i genitori lasciarono il pargoletto in cura ai nobili castellani.
Il destino volle che i genitori morissero nel viaggio; Aleramo crebbe così fra la gente del castello, dove fu addestrato alle arti belliche, così da diventare un esperto soldato. In seguito, divenuto scudiero, fu chiamato a portare il contributo del suo borgo all’imperatore Ottone I, che aveva cinto d’assedio Brescia, ribelle ai suoi comandi.
L’imperatore notò il coraggio ed il valore del giovane e lo creò cavaliere e suo consigliere personale, nonchè mescitore di coppe alla mensa della sua famiglia.
Fu così che tra Aleramo e Alasia (o Adelasia), la bella figlia del sovrano tedesco, nacque l’amore che portò, per di lei iniziativa, alla fuga, di notte, su due cavalli, uno rosso per lui ed uno bianco per la dama. Inseguiti invano dagli uomini dell’imperatore, essi si ripararono su un monte chiamato Pietra Ardena, a ridosso di Albenga ed Alassio (si vuole anzi che il nome di Alassio derivi proprio da Alasia).
Aleramo iniziò a commerciare carbone e strinse amicizia, tra gli altri, col cuoco del vescovo; da costui seppe che il suo padrone, vassallo dell’imperatore, doveva mandare uomini a Brescia, che si era di nuovo ribellata. Aleramo decise di partecipare alla spedizione e, insieme a suo figlio Ottone, si incamminò alla volta della città lombarda; giunse in vista delle mura quando gli assediati tentarono una sortita per rompere l’accerchiamento. Aleramo, cavalcando e combattendo strenuamente, volse in fuga le schiere avversarie, guadagnando la stima dell’imperatore che volle sapere chi fosse questo oscuro cavaliere.
Finalmente placato dalla sua ira, perdonò la fuga della figlia e consegnò loro il vessillo con il drappo bianco e rosso in segno di nobiltà, conferendo ad Aleramo il titolo di Marchese e gli concesse tanta terra quanta in tre giorni egli fosse riuscito a percorrere a cavallo.
Aleramo partì e percorse tutto il territorio del Po fino al Mar Ligure, dando vita al «Monferrato».
La leggenda vuole che Aleramo, prima che il cavallo stramazzasse morto dalla fatica, si fosse fermato a ribattergli un ferro e che, non trovando di meglio, abbia usato un mattone («mun» in dialetto). Cosicchè la tradizione popolare fa derivare il nome di Monferrato da «munffrà», cioè ferrato con il mattone.